Lunedì 9 dicembre 2013 Bologna è stata teatro di un nuovo incontro tra Italia e Ungheria che si è svolto nell’ambito dei programmi del 2013, Anno della Cultura Ungherese in Italia e Italiana in Ungheria. Introdotto dall’accurata e appassionata presentazione della Dott.ssa Erzsébet Miliczky, Console Onorario d’Ungheria in Bologna, è stato proiettato nella Sala Convegni del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne il documentario di Gilberto Martinelli sul grande scrittore ungherese Sándor Márai vissuto quattro anni a Napoli in esilio volontario: “Sándor Márai e Napoli – Il sapore amaro della libertà”.
Presente alla proiezione il regista Gilberto Martinelli, estremamente attento alla ricezione del pubblico e capace di stimolare un dialogo a più voci sulla sua opera. Opera di profondo interesse, il documentario dai caratteri innovativi di Martinelli restituisce una biografia letteraria dello scrittore ungherese, lasciando emergere i tormenti e i dolori, la sfera più intima di una personalità capace di osservare il mondo (e il suo tempo) attraverso una complessa lente d’ingrandimento, sullo sfondo di vicende storiche altrettanto complesse (e tormentate).
Martinelli accompagna il pubblico a Napoli, svelando il “discernimento”, la (ri-)scoperta, tanto di Márai quanto di se stesso, della città partenopea.
Un uomo-scrittore, due culture, quella ungherese e quella italiana. Un uomo-regista, due culture, quella italiana e quella ungherese. Da due punti di partenza diversi s’incontrano idealmente a Napoli, riscoperta per entrambi e imparata ad amare proprio nel processo della sua conoscenza da entrambi.
Lo spirito pragmatico del regista, magistrale interprete del mezzo audiovisivo da lui sostenuto e promosso, si è incontrato con la curiosità di un pubblico attento e ammaliato da quel “dolce contrasto” tra malinconica nostalgia ungherese e solarità dai ritmi propri di Napoli.
Luogo d’incontro tra due culture, tra due modi di vedere il mondo, il film di Martinelli si configura come una finestra su di essi. Il regista italiano scosta con decisione le tende svelando al pubblico presente a Bologna anche i retroscena della sua opera e alcune sue scelte, facendo con poche parole intuire all’ascoltatore il mastodontico lavoro che si cela dietro 52 minuti di documentario.
Un documento composito, capace di restituire un’immagine intima di Márai e di toccare, con l’appropriata profondità, temi attuali quali quelli, dibattuti, della cittadinanza e dell’esilio, vissuto nelle sue molteplici sfumature semantiche.
Il mix particolarmente riuscito di testimonianze e voci sullo scrittore ungherese dà vita a un ritratto policromatico (e polifonico) dell’uomo Márai in cui le tinte forti della storia, dell’amicizia, dell’“am(mm)ore”, della letteratura, della lingua come patria e dell’identità culturale in senso ampio si animano e si fondono tenendo desta l’attenzione dell’osservatore esterno.
Alle radici un’idea consolidata (e condivisa): l’Ungheria ha bisogno di essere meglio conosciuta in Italia così come l’Italia ha bisogno di essere meglio conosciuta in Ungheria.